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vini

È che mi convinco sempre più che un deterrente allo stress quotidiano, forse, meglio ancora, un elegia fattiva della lentezza è perdersi nel tempo di cucinare, abbandonarsi ad ogni piccolo gesto, ogni minuzia da farsi con lentezza, già il pensiero di cosa, poi la scelta di ogni ingrediente necessario, la preparazione, scelta di cosa usare e come, tutto molto lento, amorevole, carezzevole; come preparare un ragout, tagliare il sedano e le carote e le cipolla e lasciarli soffriggere per un bel tempo, poi la carne in quel soffritto, ancora per almeno una decina di minuti se non più, lasciarla insaporire, aggiungere un po’ di rosso e poi in ultimo il passato fatto in casa, profumi che avvolgono ogni parte della casa, magari ci si può dedicare anche a fare della pasta, pappardelle oggi il desiderio, anche un dolce semplice, tarte tatin non così complicata, bellissimo il profumo di mela caramellata; ché poi ieri sera avevo bevuto alcuni vini sorprendenti, il trebbiamo trebbien 2011 di valter mattoni, non mi è piaciuta la bottiglia dalla forma di una champagnotta ma con una base più ampia, vino di bevuta gradevole un po’ scontroso all’inizio ma di certo affatto banale, più interessanti i due rossi,, uno il Montepulciano di mattoni, pieno, denso, un bellissimo effluvio vegetale, un corpo consistente e avvolgente, come il tannino di morbidezza accogliente, l’altro il sangiovese 2010 dell’azienda casale di certaldo, un flash immediato, un impatto acerbo ma anche di banana, un contrasto molto interessante che in bocca rende una gradevolezza stupefacente, una facilità, nell’accezione migliore, di lasciarsi bere, freschezza e acidità, gradazione bassa, ottimo sangiovese. Chissà perché poi ho comprato il 2009 che mi è piaciuto meno, mi sa che stasera vado a prendere quel 2010, da arek del http://www.stellaristorantevineria.it/ a perugia, bel locale davvero.

Conosci persone che non portino con sé il loro contrario?

Rifiutiamo con affetto? L’affetto nel rifiuto è una maschera di falsità. La vita è un guazzabuglio, un equilibrio qualsiasi, uno dei tanti che mai si perpetua, uno qualsiasi. A volte anche nitida con immagini lucenti e chiare e vivide, con contorni definiti evidenti marcati. Più spesso con contorni sfocati. Sono miope. I contorni indistinti provocano illusioni di contaminazione, di parti che si invadono a vicenda, di forme che si compenetrano sino a crearne ulteriori e diverse e nuove che neanche possono definirsi come somma di forme singolari e particolari ma forme originali da osmosi riproduttiva. La forma che poi resta non si imprime mai definitiva, mai, solo una geometria volubile e mutevole. Mutevole. Forse da miopia.

Ho pensato di colmare buchi neri con quel che trovavo senza cercare, voglio dire, non ho mai pensato di cercare qualcosa di specifico che potesse riempirli e colmarli, ho solo usato quel che mi capitava, così, mera casualità, ci ho creduto alla casualità definita. Poi ho capito di non volere che più nulla scivoli via dentro disperdendosi nel nulla, di non volere accozzaglie indefinite, spegni la luce e ti fai avanti, senza peso le parole e l’odio che porti, cose che non vedi anche se sono dappertutto, e noi di cosa siamo fatti, di vento di rivolta o solidi ricordi o sogni di ricordi, di cosa siamo fatti, cose veloci che rimuovono il senso del perfetto. Non voglio più buchi, ho passato una mano di bianco forse, che poi rifletta la luce che entra dalle mie grandi finestre, quando non sopporto tutta la luce posso accostare gli scuri, lasciare entrare quel che voglio, quel che voglio, si, ho fatto così, lo farò ancora.

Pensavo ad un’analogia circa il colore del vino, invero mi sento come uno di quei vini rossi impenetrabili, densi, solidi quasi, che lasciano sulla lingua prima, nella bocca poi quel senso di pienezza, fors’anche grassezza, opulenti, carichi, fors’anche surmaturi ma austeri, scorbutici, scontrosi ma solo in apparenza, che hanno bisogno di tempo per lasciare che l’aria penetri negli interstizi e sciolga quei nodi di rarefazione, quel colore granato pieno, lucido, vivido, non tendente all’aranciato che poi sembra che stia virando verso una maturità inesistente.

È che ieri mattina, senza un motivo apparente, avevo il cuore che batteva a velocità inusitata, lo sentivo in gola come volesse fuoriuscire, mi sentivo come sdoppiato, il mio corpo da una parte, il cuore dall’altra come avesse una vita a sé stante, indifferente la compenetrazione, batteva forte, forte, è che ho aperto una bella bottiglia, una vendemmia tardiva di Ar.Pe.Pe., Ultimi raggi 2002, perché una vendemmia tardiva? Perché sì, radicchio trevigiano e gorgonzola in risotto, stavolta ho optato per una variante che mai avevo sperimentato, cipolla soffritta in burro, riso lasciato tostare diversi minuti con mezzo bicchiere di quel vino, poi ho aggiunto il brodo vegetale e il radicchio, a cottura ultimata ho aggiunto il gorgonzola; avevo in frigo della zucca, non è nella mia tradizione gastronomica invero, sono un terrone non un polentone, però mi ricordo che mia nonna, in un’occasione, a natale, la cucinava sempre, solo al forno, la metteva sottosale e poi in forno con alloro e peperoncino; poi, anzi prima, dei crostini con gorgonzola e un formaggio della borgogna, il vino era perfetto con tutto, al naso il richiamo della concentrazione zuccherina dell’uva raccolta tardiva, percepibile, sì, in bocca poi si sentiva poco, bella freschezza e tannino presente, suadente, morbido, accogliente, un gran bel vino, ogni boccone lo chiamava, lui rispondeva con gran sorriso, elegante, all’inizio un po’ sornione poi fermo, caldo all’impatto, alta la gradazione alcolica, ho osato, metterlo vicino un apple pie, vicinanza azzardata, lo sapevo, ardita, molto forzata ma poi alla fine neppure così stramba, creava dissonanza gustativa ma era solo per provare. Nel frattempo il cuore batteva forte, continuo, mai domo. Batteva. Batteva. Non mi ha fatto paura, un po’ sì, in realtà, ma poi mi sono abituato. Ottimo il vino con il risotto anche se quel risotto lo preferisco fare con il radicchio appassito prima e senza burro, sono terrone dopo tutto, ho preferenza per l’olio extravergine di casa mia. Così è.

E’ che ha un bellissimo nome, Don Chiscotte, 2008, un fiano davvero insolito, la macerazione sulle bucce gli lascia un bellissimo colore ambrato, che vira quasi al bruno mogano, deve avere subito un processo ossidativo intuibile anche al naso, mi fa venire in mente all’istante le albicocche, bellissimo lo spettro, fiori maturi, poi i fichi, mi piace, non  ha un forte alcol, mezzo bicchiere lo ho usato per la pasta dei ravioli, il ripieno spigola, filetti amalgamati con uova, pane all’olio ammorbidito con latte, maggiorana, noce moscata, pepe, paprika, parmigiano e un po’ di panna fresca; è la prima volta faccio i ravioli, il condimento una base di bottarga di tonno frantumata e consumata nell’olio e aglio, poi vesuviani molto maturi che si sfaldano ma non completamente, un bel piatto delicato, un bellissimo vino fatto da un vignaiolo che si chiama Guido Zampaglione, l’azienda Il Tufiello, ne ha anche un’altra nel Monferrato che si chiama Tenuta Grillo, ho una bottiglia in cantina di Pecoranera ma non ricordo l’annata. E’ che è arrivato un batuffolo bianco e marrone che si chiama iachi o forse max o forse achira o achi o machi, ancora indecisi sul nome.

E’ che oggi la Chiara ha messo su un bellissimo cappellino da cuoco, ha iniziato a tagliare il sedano, le carote, una cipolla rossa, poi ha scelto le spezie da utilizzare, chiodi di garofano, pepe rosso e nero e verde, poi pepe di szechuan o Sichuan che dir di voglia, voleva mettere anche la noce moscata ché quando faccio il ragout uso sempre però per un brodo di pesce forse la noce moscata non è necessaria, poi ha messo dentro, con difficoltà che le facevano un po’ senso, le teste di gambero, tutto per un profumatissimo brodo di pesce, per il risotto. Poi le chiedo di mettere uno spicchio di aglio vestito in una padella con dell’olio, quello della nonna? Sì, Chiara, usa quello, dopo qualche minuto metti nella pentola il pesce, gamberi, cozze, vongole, polipi e totani, aiuto fondamentale oggi. Che vino mettiamo? Un bel vinello bianco? Brava la mia piccola, apriamo quello che ho comprato a Cerea, vino terronico, siculo, SP68 bianco di Arianna Occhipinti, da albanello e moscato di alessandria, vinificato secco, al naso l’aromaticità del moscato è evidente, in bocca si percepisce solamente poi la freschezza prevale, lo uso per il pesce cui aggiungo anche un po’ di brodo e dei pachini, quando è pronto le faccio mettere il riso, carnaroli di cascina veneria, lascio tostare per qualche minuto poi mi faccio aiutare a versare il brodo, lo metto tutto insieme, la cottura ad assorbimento completo. La Chiara sorride, ha fatto un risotto che le è piaciuto molto, SP68 interessante con il risotto, il brodo speziato rendeva accogliente quell’aromaticità non accentuata, la freschezza faceva il resto, poi l’alcolicità contenuta lascia bere quel vino con gran facilità. Vino siculo, che parla di una strada provinciale che metaforicamente rappresenta il viaggio dei contadini verso le vigne e poi il percorso del vino verso le diverse destinazioni.
E’ che ho un valido aiuto cuoco ora.

E’ che la scelta era tra fare pulizie e cucinare, scelta naturale ovviamente, non avevo punto voglia di fare le pulizie, ieri avevo già deciso cosa fare, un bel pezzo di spalla di manzo, sedano e carote e cipolla tagliate a dadini e messi a soffriggere nell’olio extra vergine, poi la spalla a rosolare in ogni lato, circa un quarto d’ora, poi ho aggiunto vino rosso, avevo del nero d’avola già aperto per cui ho usato quello, poco meno di mezza bottiglia e lasciato cuocere per almeno due ore, più anche, per un brasato il tempo di cottura è lungo; al contempo ho messo a fare un brodo vegetale con cipolle, carote, due foglie di salvia, qualche bacca di pepe nero, pepe verde, pepe di Sichuan e due chiodi di garofano, lasciato cuocere molto fino ad un bel colore bruno, poi anche altro fuoco per lessare delle patate. Bello fare più cose contemporaneamente, controllare la carne e aggiungere della noce moscata, compensare il vino che svanisce con un po’ di brodo, poi avevo dei funghi porcini essiccati, lasciati ammorbidire in un po’ di latte, nella padella grande uno spicchio di aglio in olio, poi i funghi, dopo circa una decina di minuti ho aggiunto anche il latte filtrato dalle impurità dei funghi; le patate per un gateau di patate, passate e impastate con due uova, parmigiano e pepe e sale, in un testo di ceramica ho spalmato un po’ di burro poi ho messo l’impasto, del salamino piccante napoletano e mozzarella di bufala, una parte senza salamino ché alla chiara non piace piccante, poi altro strato di patate e pan grattato, in forno per circa 40 minuti. Nella padella con i funghi ho messo il riso a tostare, lo tosto per almeno 3 o 4 minuti, poi aggiungo il brodo, cerco di aggiungerlo tutto insieme, la cottura ultimata quando il riso ha preso tutto il brodo, alla fine ho aggiunto scaglie di fiore sardo di gavoi, magnifico formaggio lievemente affumicato. Dopo più di due ore di cottura ho tirato via la carne e tutto il sugo l’ho frullato con un po’ di brodo e po’ di maizena sino a farne una crema rosso sangue raffermo per guarnire la carne. Risotto ai porcini, poi brasato, poi gateau di patate, la casa piena di profumi speziati, cosa scegliere tra sagrantino, brunello, barolo, Valtellina, aglianico e qualcosa di altro nella cantina? La prima bottiglia che mi è capitata tra le mani è stata una tentazione, abbinamento ardito forse ché era una vendemmia tardiva, ultimi raggi di ar.pe.pe, poi, nel pensarci, ho trovato un’altra bottiglia un po’ dimenticata, dimentico io stesso di averla, barolo pajana di domenico clerico, 1995, nell’apertura si è rotto il tappo, ho dovuto allora filtrarla per versarla in un decanter che tale non è, una bellissima caraffa che ho rubato a mia mamma, parte di un suo regalo di matrimonio, bellissimo il colore, ancora rosso ben vivo con punte granata, alcun affievolimento nel colore, invero anche nel naso, deciso, terziari immediati, naso elegante, morbido, spezie dolci, una vaniglia non fastidiosa, intensa frutta candita, scorza di arancia, il tannino ancora deciso, interessante freschezza che lo rendeva gradevolissimo da bere, gran bel vino, ne avevo aggiunto un bicchiere a fine cottura nel brasato, trait d’union immaginifico che ha creato un legame perfetto, quel vino un gran vino, piacevolissimo con il risotto e con il brasato, nonostante i 14° mai pesante, certo che non scopro nulla ma mi è piaciuto molto berlo. Così è.

“Certi giorni scopro una specie di dolore della felicità. Quando è troppo forte faccio fatica a sostenerla. Ma poi la sostengo eccome. Ho proprio il fisico giusto, la capacità di un vaso grande: ne posso contenere una quantità vergognosa, volendo. E voglio. Certo che voglio.”

“E’ che a me proprio piace star lì a mettere insieme elementi per tirar fuori poi altro, con del radicchio rosso di treviso e del gorgonzola cosa si potrà fare? Un bel risotto, una base di olio e cipolle rosse lasciate rosolare piano, poi il radicchio tagliato a listelli sottili che cuoce piano nel soffritto con un bicchiere di vino rosso. Apro un vino della Valtellina, Il Pettirosso di Ar.Pe.Pe., 1997, un igt notevole, vino di 13 anni che sembra fresco come un giovincello, pieno di profumi, dal colore scarico, il nebbiolo, in queste zone chiamato chiavennasca, non ha colori così forti poi è un vino di così tanti anni, pieno di profumi creati nel tempo, le spezie evidenti, la frutta matura non così accentuata, il vegetale intenso, mi piace questo vino che ha poco peso alcolico, si beve bene, molto bene.” E’ che mi piace la filosofia di questa azienda della Valtellina, far uscire i vini dopo un lungo tempo di maturazione prima in botti e poi in bottiglia, esperienza rara questa, impegnativa, è che sono bellissime quelle vigne inerpicate sul versante nord della valle, sempre piene di sole così da creare una tradizione di vini surmaturi o passiti, bellissimo fermarsi in alto e guardare giù, vigne anche di qualche decina di metri quadri, due, tre filarini, i muretti a freddo, le carrucole che portano giù l’uva, ho qualche bottiglia ancora di questa bella cantina, il sassella rocce rosse e il grumello buon consiglio, anche una vendemmia tardiva, dovrò pensare a qualche buon piatto ora.