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Oscurità

Conosci persone che non portino con sé il loro contrario?

Rifiutiamo con affetto? L’affetto nel rifiuto è una maschera di falsità. La vita è un guazzabuglio, un equilibrio qualsiasi, uno dei tanti che mai si perpetua, uno qualsiasi. A volte anche nitida con immagini lucenti e chiare e vivide, con contorni definiti evidenti marcati. Più spesso con contorni sfocati. Sono miope. I contorni indistinti provocano illusioni di contaminazione, di parti che si invadono a vicenda, di forme che si compenetrano sino a crearne ulteriori e diverse e nuove che neanche possono definirsi come somma di forme singolari e particolari ma forme originali da osmosi riproduttiva. La forma che poi resta non si imprime mai definitiva, mai, solo una geometria volubile e mutevole. Mutevole. Forse da miopia.

Ho pensato di colmare buchi neri con quel che trovavo senza cercare, voglio dire, non ho mai pensato di cercare qualcosa di specifico che potesse riempirli e colmarli, ho solo usato quel che mi capitava, così, mera casualità, ci ho creduto alla casualità definita. Poi ho capito di non volere che più nulla scivoli via dentro disperdendosi nel nulla, di non volere accozzaglie indefinite, spegni la luce e ti fai avanti, senza peso le parole e l’odio che porti, cose che non vedi anche se sono dappertutto, e noi di cosa siamo fatti, di vento di rivolta o solidi ricordi o sogni di ricordi, di cosa siamo fatti, cose veloci che rimuovono il senso del perfetto. Non voglio più buchi, ho passato una mano di bianco forse, che poi rifletta la luce che entra dalle mie grandi finestre, quando non sopporto tutta la luce posso accostare gli scuri, lasciare entrare quel che voglio, quel che voglio, si, ho fatto così, lo farò ancora.

Pensavo ad un’analogia circa il colore del vino, invero mi sento come uno di quei vini rossi impenetrabili, densi, solidi quasi, che lasciano sulla lingua prima, nella bocca poi quel senso di pienezza, fors’anche grassezza, opulenti, carichi, fors’anche surmaturi ma austeri, scorbutici, scontrosi ma solo in apparenza, che hanno bisogno di tempo per lasciare che l’aria penetri negli interstizi e sciolga quei nodi di rarefazione, quel colore granato pieno, lucido, vivido, non tendente all’aranciato che poi sembra che stia virando verso una maturità inesistente.

A volte credo che si possa fare tutto, perché tutto è possibile, semplicemente, e non perché sia bello o sensato. Io non credo alla trasparenza, a volte mento, so di farlo, mai nascosto a nessuno, financo a me non lo nascondo, mento a me stesso per crederci, mai per ingannarmi. So come mi sento, e perché. Conosco ogni micromovimento, avvisaglia, sintomo o rumore “del mobbing dell’infelicità”. Quello smarrimento così caratteristico: quella solitudine definitiva, quella svalutazione immediata di tutto. Di me stesso, soprattutto. Non so se tutto questo è illusione di libertà ovvero se esiste davvero. Sonata per uomini buoni, piccoli frammenti immobili, delicati, di vite altrove, di vite che sono state, che, forse, ancora devono essere. Qualche strascico resta, emozioni indotte, comandate, perché non abbandonarsi invece ad un pomeriggio di tedio a fare nulla, perché non lasciarsi sopraffare dal semplice movimento di quegli occhi alla scoperta inopinata di avere intuito la strada giusta? Incastri di pezzi impossibili da conformarsi, insinuare nuova vita a pezzi di vita inconciliabili. Nuovo manifesto: alterato, edulcorato, artefatto, artificioso. Avere mille occhi che guardano tutto, non serve, come colmare buchi senza fondo di materia solida, quantità senza senso. A volte penso che giudicare implichi solo una mancanza, assoluta, di pudore, di quello che fa guardare prima dentro, poi oltre il nostro piccolo orizzonte.

“…la forza che cerco non ha a che vedere col vincere o perdere. Non voglio un muro per respingere la forza che viene dall’esterno. Quello che voglio è la forza per ricevere gli assalti che arrivano, e sopportarli. L’ingiustizia, la sfortuna, la tristezza, i malintesi, le incomprensioni…Voglio la forza per sopportare tranquillamente tutte queste cose.” So che è difficile da trovare questa forza ma io ho solo una ferita che mi aiuta, un catalizzatore, forse è la mia piccola fortuna, un piccolo tesoro che assorbe l’oscuro essendo la causa stessa di quel profondo inquieto dolente indomito lato buio.

E’ che a volte quello che si ascolta non ha alcun senso, alcuno percepibile, alcuno decrittabile. Ecco, a volte il senso è assolutamente e irrimediabilmente indistinguibile, indecrittabile, inaccessibile ad ogni possibilità di intersezione e immedesimazione. Ecco.

E’ che ho rivisto alcuni amici, M. e G. e L., anche altri che non vedevo da tempo, il tempo sta diventando un concetto strano, dilatato, infinito, sorprendente. E’ che mi piace tornare indietro a volte, mi conforta, mi fa bene all’anima, mi fa sorridere e ridere. Li riconosco nonostante il tempo, nonostante le distanze. E’ che M. ora è solo, ho sempre pensato che non fossero perfetti insieme, con A. dico, lo avevo visto perfetto con D., lo percepivo nitidamente da come si guardavano, da come si sfioravano, da come si parlavano, vivevamo insieme quando eravamo studenti, D. la conoscevo bene, mi piaceva che stessero insieme, si amavano; poi avevo preferito andare altrove, il loro sballo non era il mio, avevo altre preferenze, altra gente, suggestioni, interessi, vita. Ma M. lo conoscevo dall’asilo, amico d’infanzia, l’ho ritrovato con D., andavo spesso a cena a casa loro, sorridevo a vederli insieme. Fine dello studio, fine con D.; con A. avevo sempre pensato ci fosse qualcosa che mi stonava, non ho mai capito cosa fosse ma poi è finita. M. parla poco ma non sempre serve parlare, quando ci si riconosce non sempre le parole hanno così potere indomito, non ci si vede spesso ma ci si vuole bene. C’era anche G., ora vive in riva al mare, non molto lontano, ci sono palme lungo la riva, ha due figlie ma non ha avuto situazioni tranquille, sempre in giro per lavoro e la sua donna che non facilmente si adattava a questi avanti e dietro. Ora sembra sereno. L. invece mai ha avuto vita facile, un padre che aveva due donne contemporaneamente, senza arte ne parte, viveva a volte con i fratelli nati dall’altra donna, senza stabilità alcuna, in continuo vagare da una casa ad un’altra. Storie mai stabili, uscita una ragazza ne entrava un’altra. Ha gli occhi segnati, non è sciocco, è solo triste.

E’ che sono tornato indietro, in un attimo, di molti anni, poi ho pensato inopinatamente che nulla torna, non che non lo sapessi ma avevo, per un tempo indefinito, sospeso tutto. E’ che ho visto nelle loro facce, nelle rughe, nelle voci, negli occhi che tutto scorre velocemente.

 

E’ che a volte ho la sensazione di non sapere cosa sto facendo, guardo intorno e non riesco a capire dove sono, perché sono proprio in quel posto in quel momento. E’ che a volte, spesso direi, scelgo quel che leggo senza alcun motivo apparente, invero senza, anche, motivi reconditi, solo scelte casuali, magari impulsive ovvero legate ad un minimo, insignificante, esiguo motivo, scelte senza fondamento. Eppure scelte che portano scoperte magnifiche, dense, vivide, anche inutilità, certo ma è bellissimo trovare dietro una mancanza di attese storie emozionanti, laceranti, intriganti, voltare un angolo su una strada banale e trovare mondi molteplici, che portano altrove, che rimandano indietro ovvero sono solo il transito per scoperte altre, passare da una strada grigia e fumosa ad un mare luminoso e brillante e accecante, poi trovarsi, inopinatamente, tra la nebbia di una città che nasconde tesori indicibili, ovvero segreti innominati, maledizioni ataviche. E’ che a volte non si sceglie proprio nulla, semplicemente si viene scelti senza averne l’idea.

(…)

 Bruciano. Sbranami il lamento in cui mi perdo. Un urlo stupito, tradito. Vestito porpora. Velluto pesante. Brodo vitale.

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Denti impastati di rosso. Metabolizzami. Le proprietà nascoste dei miei quarti migliori. Caldo ferroso sulla lingua. Testa di metallo che sibila in aria. Serpente di cuoio che fischia. Succhia. Plasma grasso. Nutriente. Denso. Nauseante.

(…)

Consapevolezza della mediocrità che toglie il sorriso, a volte indugio in questi pensieri ma ho deciso che non posso abbandonarmi ad essi senza resistenza, sarebbe la fine, ho voglia di vivere sempre, ho voglia anche della mia mediocrità quando la sento, della critica feroce verso il me indifendibile, la sento quella caduta verso il buio assoluto in cui non si percepisce alcun minimo spiraglio, in cui i confini si perdono, si liquefanno viscosi, voglio lottare fino a sanguinare, ogni cosa possa accadere. La morte, l’ho conosciuta tempo fa, molto tempo fa, da quel giorno non mi tocca più, quel giorno mi ha inaridito, reso distante, quasi intoccabile, no, intoccabile non lo è nessuno, indifferente sì alla morte

A volte l’unica sensazione è quella di soffocamento, pensieri scostati con violenza, mancanza di respiro che occlude ogni cosa, ogni tentativo di altro. Una contaminazione della notte, strascichi di sogni innominati, senza ricordo, vividi solo nei residui cancerosi dell’umore. Solo percezione d’immagini, che siano state orribili specchi di storie inquietanti; ritratto sconclusionato invero, dai contorni informi e gocciolanti, a geometria variabile al contempo. Sovrappone l’immagine reale sino a costruire una sorta di essere facilmente incomprensibile, forma novativa informe da origini definite.

Stringo e ne percepisco il dolore. Stringo e ne percepisco il profumo. Vene in rilievo disegnano ombre. Ombre che allungano sulla pelle, alternato buio luce. La mano ancora. Mi lascio guardare. Mi lascio guardare la mano che ricerca.

Straniante l’equidistanza tra i contenuti emotivi freddi delle mancanze percepite e l’incapacità di lasciarsi avvicinare. Rodate difese erte naturalmente, discese in apnea in vite altrui inesistenti, vite spesso tutte uguali, similitudini sorprendenti inestricabilmente sovrapponibili, decrittabili con medesime, speculari parole, intenzioni recalcitranti, leggi, leggi, bulimico (di parole), trangugi senza sosta sino la saturazione, poi fai pulizia, magari l’odore è irritante, insopportabile, nauseabondo, vomitevole, ma non senti nulla, solo la percezione evidente, lenitivo, strato denso di materia viscosa che attutisce magicamente quell’arsura bruciante così perfettamente definibile nell’intimo scrigno del petto.