archivio

Sensazioni

È che nel frattempo certi sensi di certe parole evaporano al sole caldo di un giorno gelido, evaporano? Svaniscono? Magicamente l’esistente diventa inesistente? Vorrei catafottermene, fare dei recipienti in cui poter differenziare le parole inutili, sciocche, invisibili, da quelle che devono restare, parole biodegradabili e parole non riciclabili, parole il cui senso può attraversarmi, lasciare che sia così senza che possano lasciare tracce evidenti da quelle che invece è necessario restino impresse con la loro forza e violenza e pesantezza e rabbia, non tutto deve passare, qualcosa deve restare a sedimentare le proprie tracce, qualcosa deve poter evaporare senza lasciare strascichi evidenti, senza che siano obbligate a ferire, gran lavoro certosino, a me per ora quasi impossibile ma vorrei poterlo fare, un operatore ecologico delle parole, dei sensi delle parole, riconoscerle e sapere dove metterle invece di subire effetti indiscriminati sulla pelle. Potrebbe essere un bel lavoro.

Io non so mai cosa è bene e cosa male, in assoluto dico, non sono ammantato da alcun principio fondamentale che mi guida, potrebbe accadere tutto e il contrario, mi sorprendo ma anche no, ci provo a non essere mai su posizioni inderogabili, a pensare che ogni cosa abbia lati positivi, che parole anche urlate abbiano il loro perché recondito, che anche l’odio possa avere una giustificazione, non sempre mi riesce ma ci provo costantemente. Ho i miei tempi per metabolizzare tutto. Pensavo che l’odio mi fosse alieno, davvero lo pensavo, invece l’ho sentito in alcune occasioni. Sono rancoroso, lo ero molto più tempo fa, ora è attenuato, è diventato altro, pessimo sentimento che non riesco a sradicare completamente. Sono anche permaloso, me la prendo anche per cose banali, forse non sono capace neanche di distinguere la serietà dalla banalità? Non sono granché come uomo, non lo dico con compiacenza ne per attirare parole complimentose, tutt’altro. Sono quel che sono. A volte mi sono sentito un uomo rotto, forse è vero, provo a ricompormi, a cercare di incastrare bene i pezzi, provo con la colla, il vinavil è un portento, ma c’è sempre qualche spigolo che stona, che non torna nell’incrinatura in cui lo inserisco. Ci provo a rimettere i pezzi a posto, gioco di ricostruzione che ha effetti sbilenchi. Diritto assoluto. Quello ad essere quel che si è, doversi celare dietro schermi rifrangenti. Diritto assoluto alla nebulosità se tale è non per posa ma per carattere. Diritto di non adeguarsi ad ogni cosa per quieto vivere. Diritto inalienabile, inderogabile, inevitabile. Una volta avrei voluto cancellare troppe cose, particolarità di carattere e di personalità che mi infastidivano, che irritavano. Le leggevo come pose volontarie, forse lo erano, in cerca di approvazioni di non si sa chi. Approvazione, la si cerca? Si, credo si cerchi approvazione se tale altro non è che un modo per riempire buchi immensi. Errato forse. Lo so. Ma così è. Anche si sceglie quel che si fa, l’inevitabilità delle cose magari rara, la condizione degli eventi determinata da quel che si fa e come, sì. È terribile veder offendere i propri pensieri, i propri gesti di affetto con rifiuti senza motivo. Penso a perché mi capita questa necessità di scrivere, a volte: verità assoluta? Piccola infinita catarsi, abbandono, sollievo, fuoco, arsura, dissetarsi, buttarsi dentro, pieno.

Viaggi verticali.

(…) un tempo felice, un tempo infelice, un tempo in cui il paradiso  è così vicino, un tempo in cui il paradiso è così lontano, un tempo in cui la felicità si trova accendendo un sigaro, bevendo un caffè, un bicchier d’acqua, una birra conservata come vino da messa, un tempo colorato d’azzurro come alcuni sogni, un tempo in cui ci avviciniamo a ciò che ci avvicina al paradiso e all’idea che di esso ci resta e viene dai sogni. Non voglio morire mai. Non voglio. Non voglio che arrivi il mio turno, devo aver tempo, tempo per essere freddo come una scia nel cielo  di un’alba estiva, un uomo con un nome, un uomo senza eccezione di genere, persona, declinazione. Un uomo che non deve essere immune, un uomo che fa la doccia e la colazione, che prende il sole, l’aria e tutto il resto. Uno uomo che vuole dormire in un letto ampio dove la mattina l’avrebbe svegliato mostrando loro un cielo blu. Un cielo blu così intenso e inquietante, perturbante, né silenzioso né tranquillo – solo un cielo blu in continuo movimento. 
Autodeterminazione, manifestazione non repressa della vitalità,  libero arbitrio, realizzazione della razionalità, fino a visioni più spiritualistiche come realizzazione della vocazione individuale, non mi convince la visione anarchica della libertà perché non credo a fondo all’idea dell’autogestione, non ho una formazione filosofica per cui ho difficoltà a muovermi tra idee così dense. La libertà, facile la si vanti, difficile gestirla a fondo, ho idea che sia complicato sentirsi davvero liberi e vivere la libertà fino in fondo. Se per libertà posso intendere un’inestricabile coacervo di determinazioni che rispettano il sé e l’altro, credo che posso sentirmi una persona libera, arrivata a sentire questa libertà libera di poter essere estrinsecata senza il dubbio evidente che certi atteggiamenti sono tutto fuorchè liberi.

Assaporo, indolente, il dubbio che, nel novero sconfinato di fenomeni che razionalmente tendiamo a considerare impossibili possano essercene alcuni che invece non lo sono. Magari cercare particolarità celate che svelino l’esclusione da cui la possibilità. L’inatteso che lacera la carne, dissolve i pensieri, inatteso eppure non sorprendente, forse solo sorprendentemente intuibile, per tale motivo accantonato nelle ipotesi irreali, escluso dalle ipotesi reali, dolorosa evidenza di cattiveria esplicita. Eppure alcuna sorpresa, solo la banalità dell’evidenza peggiore.

A volte credo che si possa fare tutto, perché tutto è possibile, semplicemente, e non perché sia bello o sensato. Io non credo alla trasparenza, a volte mento, so di farlo, mai nascosto a nessuno, financo a me non lo nascondo, mento a me stesso per crederci, mai per ingannarmi. So come mi sento, e perché. Conosco ogni micromovimento, avvisaglia, sintomo o rumore “del mobbing dell’infelicità”. Quello smarrimento così caratteristico: quella solitudine definitiva, quella svalutazione immediata di tutto. Di me stesso, soprattutto. Non so se tutto questo è illusione di libertà ovvero se esiste davvero. Sonata per uomini buoni, piccoli frammenti immobili, delicati, di vite altrove, di vite che sono state, che, forse, ancora devono essere. Qualche strascico resta, emozioni indotte, comandate, perché non abbandonarsi invece ad un pomeriggio di tedio a fare nulla, perché non lasciarsi sopraffare dal semplice movimento di quegli occhi alla scoperta inopinata di avere intuito la strada giusta? Incastri di pezzi impossibili da conformarsi, insinuare nuova vita a pezzi di vita inconciliabili. Nuovo manifesto: alterato, edulcorato, artefatto, artificioso. Avere mille occhi che guardano tutto, non serve, come colmare buchi senza fondo di materia solida, quantità senza senso. A volte penso che giudicare implichi solo una mancanza, assoluta, di pudore, di quello che fa guardare prima dentro, poi oltre il nostro piccolo orizzonte.

Sono diventato intuitivo? Come quando ti sembra di essere vicino alla verità e la prospettiva di avere ragione ti attrae proprio perché ti terrorizza. Non so se sono intuitivo o meno, magari sono solo coincidenze tra pensieri e realtà senza quel senso di esoterica preveggenza, magari a volte capita che, volutamente, si fanno cose che si ha la certezza portino a certe conseguenze, non volute le conseguenze, forse le si fanno proprio per quel motivo, per commiserarsi di quegli effetti, voluti ? cercati? Non certi, intuibili ma non definiti nelle proporzioni reali. Ed è proprio quell’attesa dolente, prodromo della commiserazione di sé, che è la lancinante intuizione, solo quell’attesa, non ci fosse, la realtà sarebbe lontana.

“…la forza che cerco non ha a che vedere col vincere o perdere. Non voglio un muro per respingere la forza che viene dall’esterno. Quello che voglio è la forza per ricevere gli assalti che arrivano, e sopportarli. L’ingiustizia, la sfortuna, la tristezza, i malintesi, le incomprensioni…Voglio la forza per sopportare tranquillamente tutte queste cose.” So che è difficile da trovare questa forza ma io ho solo una ferita che mi aiuta, un catalizzatore, forse è la mia piccola fortuna, un piccolo tesoro che assorbe l’oscuro essendo la causa stessa di quel profondo inquieto dolente indomito lato buio.

E’ che a volte quello che si ascolta non ha alcun senso, alcuno percepibile, alcuno decrittabile. Ecco, a volte il senso è assolutamente e irrimediabilmente indistinguibile, indecrittabile, inaccessibile ad ogni possibilità di intersezione e immedesimazione. Ecco.

E’ che ho rivisto alcuni amici, M. e G. e L., anche altri che non vedevo da tempo, il tempo sta diventando un concetto strano, dilatato, infinito, sorprendente. E’ che mi piace tornare indietro a volte, mi conforta, mi fa bene all’anima, mi fa sorridere e ridere. Li riconosco nonostante il tempo, nonostante le distanze. E’ che M. ora è solo, ho sempre pensato che non fossero perfetti insieme, con A. dico, lo avevo visto perfetto con D., lo percepivo nitidamente da come si guardavano, da come si sfioravano, da come si parlavano, vivevamo insieme quando eravamo studenti, D. la conoscevo bene, mi piaceva che stessero insieme, si amavano; poi avevo preferito andare altrove, il loro sballo non era il mio, avevo altre preferenze, altra gente, suggestioni, interessi, vita. Ma M. lo conoscevo dall’asilo, amico d’infanzia, l’ho ritrovato con D., andavo spesso a cena a casa loro, sorridevo a vederli insieme. Fine dello studio, fine con D.; con A. avevo sempre pensato ci fosse qualcosa che mi stonava, non ho mai capito cosa fosse ma poi è finita. M. parla poco ma non sempre serve parlare, quando ci si riconosce non sempre le parole hanno così potere indomito, non ci si vede spesso ma ci si vuole bene. C’era anche G., ora vive in riva al mare, non molto lontano, ci sono palme lungo la riva, ha due figlie ma non ha avuto situazioni tranquille, sempre in giro per lavoro e la sua donna che non facilmente si adattava a questi avanti e dietro. Ora sembra sereno. L. invece mai ha avuto vita facile, un padre che aveva due donne contemporaneamente, senza arte ne parte, viveva a volte con i fratelli nati dall’altra donna, senza stabilità alcuna, in continuo vagare da una casa ad un’altra. Storie mai stabili, uscita una ragazza ne entrava un’altra. Ha gli occhi segnati, non è sciocco, è solo triste.

E’ che sono tornato indietro, in un attimo, di molti anni, poi ho pensato inopinatamente che nulla torna, non che non lo sapessi ma avevo, per un tempo indefinito, sospeso tutto. E’ che ho visto nelle loro facce, nelle rughe, nelle voci, negli occhi che tutto scorre velocemente.

 

“Aspetta che siano davvero lontani. Poi torna a guardare il cielo e all’improvviso percepisce la consistenza cromatica di quel mattino. Per qualche secondo ha la sensazione di essere sospeso dalle cose. Lontano. Adesso sa che è davvero mattino, una sensazione antica e inspiegabile. Mette le mani in tasca e scende verso il porto. Il sole è lento e obliquo, uomini gridano altri ascoltano, il bar spreca caffè che cade sul vassoio della macchina espresso, i tavolini sono già coperti dall’acqua e dall’umido; l’odore del pesce è fortissimo, si ferma ad osservare le casse bianche coi polipi e i frutti di mare e le triglie rosse e le spigole e le orate, dove saranno gli altri? Non pensa ad altro ormai. Ora, in questo istante, tutte le facce che ho incontrato in questi giorni, che staranno facendo? Questo dannato pensiero che lo tormenta da sempre, la contemporaneità, che sta accadendo in quell’istante?… da qualsiasi altra parte? Dove bisogna trovarsi per essere felici? Cosa mi sto perdendo?”

E’che la voce di david bowie esce piano, sopra questo silenzio momentaneo, ho pensato potesse accompagnare tutte quelle immagini che scorrono con ripetizione casuale nella cornice digitale, penso che non ho più foto su carta, penso anche le leggere un libro su un supporto digitale a me fa molta tristezza anche se ho un po’ di curiosità, mi da un senso di freddo gelido che credo farò a meno di provare, certo posso portarmi dietro tutti i libri che ho a casa ma non so, non riesco a pensarci, verrebbero meno tutti quei gesti rituali forse, necessari di certo, ora bjork, voce bellissima, perfetta per quelle immagini con la neve, posso pensare forse ad una coperta di linus digitale? No, non ci penso,  immagini scorrono verso venezia, le calli, il mare, i rumori che non si sentono, oggetti strani in un luogo così antico, un po’ stridente la vicinanza, però bella, les negresses vertes, l’homme de marais e jeff buckley, anche radiohead, mi rendo conto che è tutto disomogeneo, come non ci fosse alcun filo invisibile che lega tutto, né visibile, che ne dia un senso minimamente compiuto, semmai sia necessario un senso per ogni cosa, quella copertina che sembra un deserto di sabbia ed invece potrebbe essere una landa di ghiaccio infinita, algida distesa azzurra polverosa, belli questi giorni sempre luminosi, azzurri, luminosi, freddi ma belli, l’aria gelida che s’insinua sotto il casco, gesti continui, ripetuti, inconsci, vaganti, annuso le dita dell’odore intenso, aspro, grace mi emoziona, lento, lento,  la voce gutturale acuta, poi detona forte, a volte leggo cose che non afferro, non mi riesce di capire nulla di quelle parole, non mi consentono di entrare, forse non ne sono capace, non riesco a trovare la chiave che mi apre la porta di casa, così guardo da fuori senza riuscire a distinguere le forme all’interno, poi le abbandono quelle parole, la mia incapacità non è un cruccio, affatto lo è.