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Archivio mensile:dicembre 2011

È che nel frattempo certi sensi di certe parole evaporano al sole caldo di un giorno gelido, evaporano? Svaniscono? Magicamente l’esistente diventa inesistente? Vorrei catafottermene, fare dei recipienti in cui poter differenziare le parole inutili, sciocche, invisibili, da quelle che devono restare, parole biodegradabili e parole non riciclabili, parole il cui senso può attraversarmi, lasciare che sia così senza che possano lasciare tracce evidenti da quelle che invece è necessario restino impresse con la loro forza e violenza e pesantezza e rabbia, non tutto deve passare, qualcosa deve restare a sedimentare le proprie tracce, qualcosa deve poter evaporare senza lasciare strascichi evidenti, senza che siano obbligate a ferire, gran lavoro certosino, a me per ora quasi impossibile ma vorrei poterlo fare, un operatore ecologico delle parole, dei sensi delle parole, riconoscerle e sapere dove metterle invece di subire effetti indiscriminati sulla pelle. Potrebbe essere un bel lavoro.

Il cielo è azzurro dalla finestra di legno, dai riquadri di vetro in lontananza le montagne sono bianche, quelle più lontane, un cappello bianco alla sommità , contrasto evidente con il cielo luminoso. È che ho sensazione che tutto sia immoto, la frenesia nei gesti quotidiani, silenziosi, movimenti necessari, indistinguibili da ogni altro, ripetitivi, essenza altrove, immota, distaccata, fors’anche annoiata osservatrice di quella frenesia senza motivo, piccoli suoni svelano sensazioni sconosciute, irriconoscibili, inopinato veicolo, sorprendente, occhi aperti su strade sconosciute fisicamente ma mai abbandonate, la sorpresa il semplice ritrovamento di quell’illusione misconosciuta, vento forte gelido, alcuna parola, solo occhi che guardano lontano, ora non serve altro, poter arrivare ovunque con quegli occhi, occhi che guardano le viscere ricolme di bollori invisibili, profumi invitanti nella lentezza inconciliante, pretesti, forse solo piccoli equivoci senza importanza. Solo questo.

Io non so mai cosa è bene e cosa male, in assoluto dico, non sono ammantato da alcun principio fondamentale che mi guida, potrebbe accadere tutto e il contrario, mi sorprendo ma anche no, ci provo a non essere mai su posizioni inderogabili, a pensare che ogni cosa abbia lati positivi, che parole anche urlate abbiano il loro perché recondito, che anche l’odio possa avere una giustificazione, non sempre mi riesce ma ci provo costantemente. Ho i miei tempi per metabolizzare tutto. Pensavo che l’odio mi fosse alieno, davvero lo pensavo, invece l’ho sentito in alcune occasioni. Sono rancoroso, lo ero molto più tempo fa, ora è attenuato, è diventato altro, pessimo sentimento che non riesco a sradicare completamente. Sono anche permaloso, me la prendo anche per cose banali, forse non sono capace neanche di distinguere la serietà dalla banalità? Non sono granché come uomo, non lo dico con compiacenza ne per attirare parole complimentose, tutt’altro. Sono quel che sono. A volte mi sono sentito un uomo rotto, forse è vero, provo a ricompormi, a cercare di incastrare bene i pezzi, provo con la colla, il vinavil è un portento, ma c’è sempre qualche spigolo che stona, che non torna nell’incrinatura in cui lo inserisco. Ci provo a rimettere i pezzi a posto, gioco di ricostruzione che ha effetti sbilenchi. Diritto assoluto. Quello ad essere quel che si è, doversi celare dietro schermi rifrangenti. Diritto assoluto alla nebulosità se tale è non per posa ma per carattere. Diritto di non adeguarsi ad ogni cosa per quieto vivere. Diritto inalienabile, inderogabile, inevitabile. Una volta avrei voluto cancellare troppe cose, particolarità di carattere e di personalità che mi infastidivano, che irritavano. Le leggevo come pose volontarie, forse lo erano, in cerca di approvazioni di non si sa chi. Approvazione, la si cerca? Si, credo si cerchi approvazione se tale altro non è che un modo per riempire buchi immensi. Errato forse. Lo so. Ma così è. Anche si sceglie quel che si fa, l’inevitabilità delle cose magari rara, la condizione degli eventi determinata da quel che si fa e come, sì. È terribile veder offendere i propri pensieri, i propri gesti di affetto con rifiuti senza motivo. Penso a perché mi capita questa necessità di scrivere, a volte: verità assoluta? Piccola infinita catarsi, abbandono, sollievo, fuoco, arsura, dissetarsi, buttarsi dentro, pieno.

È che il dolore è tale per tutti, certo, sì, è così, un po’ più però lo è per i bambini, si decide di privarsi di qualcosa per chi ha un bisogno disperato, un piccolo regalo di una classe di bambini per bambini che la fortuna ha dimenticato, Chiara, sarà questo il regalo, uno dei regali, ci sarà un piccola festa in cui incontrerete altri bambini che ora stanno meglio, alcuni bene ma le cui ferite sono evidenti, non nascoste, impatto forte, ci saranno bambini senza capelli per le forti cure che hanno subito ma che ora hanno passato il peggio, la Chiara si preoccupa, sa che non sta benissimo, mal di testa forte, pensa a qualche forma di contagio per loro, no, il mal di testa non si può trasmettere, in fondo non è il mal di testa, lo so Chiara, lo so, lo so come questi pensieri ti tormentano ma la realtà è anche questa, è il dolore di altri come te, tu fortunata per ora, lo so che ti fa male il solo pensiero di quelle sofferenze, lo vedo in quei bellissimi occhi fondi neri, lo sento perché sì, non dovrai essere triste per loro, anzi sorridere, state facendo una bellissima cosa, sorridete, parlate, giocate, lo so che è forte ma sarà bello, emozionante, si sente sei emozionata per questo incontro, le vedo lì in fondo quelle goccioline, gli occhi lucidi, li vedo anche se non si vedono, mi emoziona sentirti così, saperti dentro le cose e non indifferente, sei ancora piccola ma guarda tutto come fai ora, soffrirai ma non ti passerà nulla sopra senza lasciarti tracce. Sì.

“(…) poiché i pensieri più profondi non sono i pensieri stessi, come possono essere condivisi nella semplice enunciazione del contenuto, nella loro forma compiuta, che li rende trasparenti; bensì i pensieri che pensano l’origine e la sostanza stessa dei pensieri, che pensano il terreno oscuro dove affondano le radici di ognuno e ognuna, terreno del corpo del passato del desiderio, che pensano il caos non pensabile e non comunicabile, il magma ribollente di cui si nutrono.”

Forte, un gesto che forse hanno inventato per non farci sentire soli, un gesto forte forte pieno avvolgente stretto soffocante, come racconta grossman in un piccolo racconto delicatamente illustrato, hanno inventato l’abbraccio, un gesto intimo, a volte le parole non servono, basta una stretta, a volte invece ci si illude che alcuni non siano così incapaci a stringere, la sorpresa proprio questa inettitudine, la sorpresa anche quelle voci inaspettate che ti cullano, che fuoriescono inopinate, valicando piccoli pregiudizio che ci si costruisce. Un gesto semplice? Invero è un gesto complicato che richiede accoglienza e al contempo abbandono, è bello, triste quando è disatteso da chi si credeva una persona importante, bellissimo quando inaspettato. E’ che a volte ci si sente più importanti di quel che si è davvero, si forza l’ipotesi del teorema non scritto, solamente ipotizzato, giocoforza per la sua teoricità, non può non essere scevro da limiti evidenti, così l’ipotesi potrebbe essere tutto ma anche il suo contrario e le infinite sfaccettature tra gli estremi; è che si può essere sconsiderati, volutamente ovvero inconsciamente, la superficialità nel non capire che ogni atto e gesto e fatto e parola e comportamento ed atteggiamento ha conseguenze, cosa ci fa credere che quelle conseguenze non le si siano messe in conto? La definizione di sé può anche lasciare tracce di superficialità, una definizione rigida agli occhi altrui, alle altrui evidenze, io credo di non avere una coerenza così definita, con contorni così certi, forse un’incoerenza coerente, semmai esiste. Se sbagli paghi, evidente, con le persone difficilmente le cose sono rimediabili, possono esserlo solo se i sentimenti sono profondi, ma davvero profondi, se davvero vale metter da parte l’orgoglio o quel che è e si accetta così com’è una persona, al contrario non c’è alcun rimedio, diventa solo inutilmente faticoso, magari è solo questione di considerare l’impossibilità di rapportarsi. Ecco, per cercare di scoprire la bellezza negli altri, vorrei solo avere nuovi occhi, guardare in modo sempre diverso per scoprire il celato, cosa difficile, forse spesso impossibile, a volte inutile.

Conosci persone che non portino con sé il loro contrario?

Rifiutiamo con affetto? L’affetto nel rifiuto è una maschera di falsità. La vita è un guazzabuglio, un equilibrio qualsiasi, uno dei tanti che mai si perpetua, uno qualsiasi. A volte anche nitida con immagini lucenti e chiare e vivide, con contorni definiti evidenti marcati. Più spesso con contorni sfocati. Sono miope. I contorni indistinti provocano illusioni di contaminazione, di parti che si invadono a vicenda, di forme che si compenetrano sino a crearne ulteriori e diverse e nuove che neanche possono definirsi come somma di forme singolari e particolari ma forme originali da osmosi riproduttiva. La forma che poi resta non si imprime mai definitiva, mai, solo una geometria volubile e mutevole. Mutevole. Forse da miopia.

Ho pensato di colmare buchi neri con quel che trovavo senza cercare, voglio dire, non ho mai pensato di cercare qualcosa di specifico che potesse riempirli e colmarli, ho solo usato quel che mi capitava, così, mera casualità, ci ho creduto alla casualità definita. Poi ho capito di non volere che più nulla scivoli via dentro disperdendosi nel nulla, di non volere accozzaglie indefinite, spegni la luce e ti fai avanti, senza peso le parole e l’odio che porti, cose che non vedi anche se sono dappertutto, e noi di cosa siamo fatti, di vento di rivolta o solidi ricordi o sogni di ricordi, di cosa siamo fatti, cose veloci che rimuovono il senso del perfetto. Non voglio più buchi, ho passato una mano di bianco forse, che poi rifletta la luce che entra dalle mie grandi finestre, quando non sopporto tutta la luce posso accostare gli scuri, lasciare entrare quel che voglio, quel che voglio, si, ho fatto così, lo farò ancora.

Pensavo ad un’analogia circa il colore del vino, invero mi sento come uno di quei vini rossi impenetrabili, densi, solidi quasi, che lasciano sulla lingua prima, nella bocca poi quel senso di pienezza, fors’anche grassezza, opulenti, carichi, fors’anche surmaturi ma austeri, scorbutici, scontrosi ma solo in apparenza, che hanno bisogno di tempo per lasciare che l’aria penetri negli interstizi e sciolga quei nodi di rarefazione, quel colore granato pieno, lucido, vivido, non tendente all’aranciato che poi sembra che stia virando verso una maturità inesistente.

Viaggi verticali.

(…) un tempo felice, un tempo infelice, un tempo in cui il paradiso  è così vicino, un tempo in cui il paradiso è così lontano, un tempo in cui la felicità si trova accendendo un sigaro, bevendo un caffè, un bicchier d’acqua, una birra conservata come vino da messa, un tempo colorato d’azzurro come alcuni sogni, un tempo in cui ci avviciniamo a ciò che ci avvicina al paradiso e all’idea che di esso ci resta e viene dai sogni. Non voglio morire mai. Non voglio. Non voglio che arrivi il mio turno, devo aver tempo, tempo per essere freddo come una scia nel cielo  di un’alba estiva, un uomo con un nome, un uomo senza eccezione di genere, persona, declinazione. Un uomo che non deve essere immune, un uomo che fa la doccia e la colazione, che prende il sole, l’aria e tutto il resto. Uno uomo che vuole dormire in un letto ampio dove la mattina l’avrebbe svegliato mostrando loro un cielo blu. Un cielo blu così intenso e inquietante, perturbante, né silenzioso né tranquillo – solo un cielo blu in continuo movimento. 
Autodeterminazione, manifestazione non repressa della vitalità,  libero arbitrio, realizzazione della razionalità, fino a visioni più spiritualistiche come realizzazione della vocazione individuale, non mi convince la visione anarchica della libertà perché non credo a fondo all’idea dell’autogestione, non ho una formazione filosofica per cui ho difficoltà a muovermi tra idee così dense. La libertà, facile la si vanti, difficile gestirla a fondo, ho idea che sia complicato sentirsi davvero liberi e vivere la libertà fino in fondo. Se per libertà posso intendere un’inestricabile coacervo di determinazioni che rispettano il sé e l’altro, credo che posso sentirmi una persona libera, arrivata a sentire questa libertà libera di poter essere estrinsecata senza il dubbio evidente che certi atteggiamenti sono tutto fuorchè liberi.