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Archivio mensile:settembre 2011

Sinestesia. Il vino. Tecnicismi. Formalismi. Esamina dai, visivo, olfattivo, gustativo, usa quegli aggettivi, solo quelli mi raccomando, le scale sono obbligate, le definizioni chiuse. Chiuse? Sì, necessariamente, così. Invece no, i momenti non sono distinti, la sequenza inversa, invertire l’ordine degli addendi, la somma cambia? In apparenza, forse, nella sostanza accresce, non cambia, è che è lo stesso numero solo più grande, più bello, più vivido, più pieno. Lasciare dietro ciò che si conosce, azzerare tutto, poi ripartire, guardarsi negli occhi, anche se occhi non ci sono, aprire ad un liquido suggestioni che provengono da altrove lontano, forse, forse non così lontano, prendere le parole di quei luoghi e metterle lì dentro, in quel bicchiere profumato, lentezza, lentezza, mai fretta, mai, conoscersi piano, farlo parlare, aspettare se scorbutico, spigoloso, carezzarlo con attenzione, il tempo lo svolge, lo rivolge, lo definisce, lo fa aprire, la conoscenza, l’accoglienza, rendersi disponibili ad accogliere le sue parole, i suoi profumi, le sue irrisolutezze, le sue definizioni, i suoi difetti, accettarli, parlare, parlare, ascoltare. Ci si conosce così.

Parola, esatta misura,
cavo dove starsene immobili
in un tempo senza mura
né stagioni, né volti,
energia che allontana
dalla sequela dei bisogni ebeti,
voce che innamora, che innalza
dal pianeta opaco delle strade,
in te osa sopravvivere
chi ha piedi e occhi e parole…
Elio Pecora

E’ che ieri guardavo un programma tv, di quelli che mettono depressione istantanea al pensiero che la vita è solo una gran fortuna estemporanea, che ci vuole fortuna per non nascere e poi vivere in certi contesti pessimi, depressi, sporchi, invivibili, lacerati, brutti, abbandonati, dimenticati forse, in cui la dignità non si misura ché anche una semplice incazzatura potrebbe portarti alla morte chè la vita vale sì e no qualche euro, il prezzo di una dose, ascoltavo quelle donne già mamme a 15 o 16 anni, a 30 anche con tre figli senza alcun compagno, tutto addosso eppure forti, si va avanti, si vive, si vive?, dicevano che in quelle periferie c’è un consumo di antidepressivi molto elevato, non è sorprendente visto che vita fanno quelle donne, poi mi torna in mente un libro che ho letto qualche tempo fa, lo vedo in giro per casa che la Nadia lo legge, mi chiedo perché in certa letteratura le casalinghe disperate sono spesso, soltanto delle wasp e non abitanti di slums? Forse perché l’elaborazione di ogni cosa è un fatto intellettuale? Mi fa pensare l’associazione della disperazione ad una figura, la casalinga, di donna che ha, non che è priva, una bella famiglia, bei figli, bel marito, bella casa, bel tenore di vita, belle frequentazioni, bello tutto, sembra piuttosto un mero atteggiamento snob, un’apparente, equivoco dazio immaginario che compensa la parte completa. Non è accettabile la definizione del ruolo, forse è la semplificazione che necessita uno stereotipo, forse è questo. Certo è difficile pensare disperata la vita di una benestante signora borghese che può avere tutto, forse meglio non avere nulla, patire la necessità non potendo ovvero facendo attenzione ad ogni particolare, sorprendente configurare la noia nella vita piena e densa di una signora benestante, forse è attinente la mancanza di denaro, di possibilità, sempre i mezzi pubblici maleodoranti al posto della berlina luminescente, forse sì, molto meglio la presenza di stenti che la classe A in garage. Direi proprio di sì, da compatire le casalinghe disperate, dico certe casalinghe disperate con le gucci al braccio. Povere.

E’ che ho ancora poche bottiglie di bianco, una di queste un riesling che fanno a brisighella, ravenna bianco 2007, 16 anime, un bel nome direi, è che il sabato ho sempre qualche ospite a pranzo, una mia amica mi aveva portato qualche tempo fa della bottarga di tonno, meno pregiata di quella di muggine, più intenso e deciso il sapore, non facile direi ma a me piace, ho pensato di metterla nell’olio, sbriciolata quasi, con aglio vestito, qualche minuto a consumarsi, poi ho messo pomodori freschi, erano ciliegini dell’orto, non il mio ché non ce l’ho l’orto anche se in balcone ho una pianta di pomodori, anche dei vesuviani, mi piace il sapore intenso del vesuviano, così ho lasciato per una ventina di minuti, pasta quel che c’era, rigatoni, prima però ero passato dal mio amico Giuseppe per un po’ di formaggio, invero mi ha regalato anche un abbonamento per il volley, a2 ma meglio di niente, avevo voglia di brie ma ho preso anche del gorgonzola, crostini per l’entrée, mi piace molto il gorgonzola, molto, quel brie di meaux anche , più cremoso, la crosta muffosa, davvero bel formaggio. Per la Chiara e la sua amichetta avevo fatto un sugo di pomodoro al basilico, basico ma gustoso da come hanno lasciato i piatti. Il vino non l’ho capito molto, non aveva molta struttura, i profumi per un semi aromatico erano molto attenuati, era gradevole ma nulla di altro, con i crostini non mi ha convinto, con la pasta invece sì, tornavo al bicchiere ergo andava bene. Il melone giallo d’obbligo!