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Archivio mensile:giugno 2012

Solo disincanto, ognuno dovrebbe pensare solo a sé stesso e non avere alcuna cura di pensieri verso altri ché tanto i pensieri per te non ne hanno. Neppure mi fa male sta cosa, è solo una cruda considerazione oggettiva.

È che qualche settimana addietro sono stato dal mio amico Germano a fare scorta di bianchi ché ne ero sfornito completamente, tra passerina e greco e soave e tocai friulano e franciacorta e oltrepo’ pavese, che mi ha quasi regalato ché era l’ultima bottiglia che aveva, mi ha consigliato un vermentino di gallura, juannisolu della cantina Vigne Surrau, mi dice che fino tre anni fa forniva l’uva per il capichera, tra me e me ho detto sticazzi, non in senso d’ammirazione, piuttosto di sufficienza, la bottiglia è bruttina, bianca trasparente, l’etichetta giallina un po’ anonima; ieri l’ordinazione in cucina era risotto alla marinara, invero avevo curiosità di fare il cous cous per cui ho scelto di fare entrambi, la base medesima, avevo comprato polipi, totani, gamberi, cozze e granchi, ho cercato una ricetta su come preparare il cous cous, molto facile, basta utilizzare tanta acqua quanto cous cous, invero un po’ più di acqua ma poco più, per 200 gr. di cous cous ho utilizzato 220 ml di acqua, veramente metà acqua e metà fumetto di pesce che già avevo fatto, aggiunto un cucchiaio di olio e quando bolliva tutto, ho messo a pioggia il semolino, ho utilizzato una pentola wok, perfetta perché non lascia attaccare nulla, poi ho sgranato con i rebbi di una forchetta e lasciato freddare. Nell’olio e aglio ho messo prima i totani, poi polipi, gamberi e granchi, le cozze in ultimo con qualche datterino tagliato a metà, le avevo fatte aprire in altra pentola e filtrato il liquido da utilizzare con il fumetto, poco prima di mettere il riso ho tirato via una parte di preparato e messo sul cous cous, bagnandolo con il fumetto, il riso invece fatto tostare prima e poi aggiunto tutto il brodo di pesce. Entrambi molto ben riusciti, il vino notevole, davvero notevole, nonostante fosse giovane, 2011, aveva un’ampiezza ben definita, molto denso, senza spigoli né imperfezioni, perfetto sempre con il pesce, credo sia il miglior vino, a mio modesto parere, da bere con piatti di pesce, il vermentino. Così è.

È che ho fatto un sogno già fatto, camminavo lungo una strada in salita, senza sforzo apparente all’inizio, inopinatamente le gambe cominciarono a faticare, di quella fatica insopportabile, insostenibile, come affondare nella melma più fonda, il catrame improvvisamente vivo, vortice muto, immoto in cui le gambe affondavano piano; piove, scroscia forte l’acqua, rivoli come torrenti in piena, i muscoli come pietre. Cambia lo scenario, raggiungo una casa con la sensazione di abitarci, in affitto con altri uomini, uno scorgo seduto ad una scrivania, sguardo cupo, silenzioso, qualche istante dopo che sono entrato si approssima alla porta della camera guardando senza proferire alcuna parola, guarda solo. Mi rendo conto di parlare con un altro uomo, mi abbraccia sorridendo come mi conoscesse da tempo, il suo viso non mi dice nulla, dice che stava per pulire la cucina, il soffitto ha lasciato entrare acqua, poi mi dice di andare a vedere la sua camera, è immensa, la pareti, i soffitti con carta damascata bordeaux, penso che è grande quanto la mia vera casa, questo il pensiero immediato del me onirico, ha tanti letti, solo letti e un’infinità di apparecchi radio, quelli in plastica degli anni ’50, colorati, chiedo subito se può prestarmene uno ma non afferro la risposta, mi sveglio, è ora di fare la barba e andare a fare analisi, stamane non sono svenuto, bel progresso.

È che ammiro le persone decise, che sanno usare le parole anche nell’accezione più cruda che possano assumere, usando punteggiatura chiara, definita, frasi corte, scarne, essenziali, lucide, vere o pseudo tali, che almeno sembrino tali. “Era vero. Perché alla fine era arrivata a pensare che quello che si sente è l’unica cosa che valeva la pena di dire. L’intelligenza era una sciocchezza. Si deve dire soltanto ciò che si sente.” Sapere quel che si sente, questo il discrimine nella verità di certe parole, sapere, conoscere e conoscersi, poi traduzione perfetta del pensiero. Ma io lo so, quello che penso? È che io mi sento stracolmo di dubbi, ne svenderei qualcuno, lascerei solo quelli privi d’importanza. Poi penso anche che è inutile avere pazienza, meglio lasciar andare il proprio istinto e un bel vaffanculo nitido, anche no invero, la pazienza è gran dote da spendere ove necessario davvero, non svenderla per qualsivoglia situazione ché, facilmente, si passa per idioti senza polso. Così è.

(Cecily Brown – The girl who had everything)

“(…) erano solo congetture le sue, come capita, perché – che cosa si conosce della gente, anche della gente con cui si vive tutti i giorni? Domandò. Non siamo tutti prigionieri? Aveva letto una commedia meravigliosa dove c’era un uomo che scriveva sui muri della prigione; e lei aveva capito che era così la vita – si scrive sui muri della prigione.”