archivio

Archivio mensile:ottobre 2012

È che capita che il suono di una tromba, il ritmo sincopata di un contrabbasso, svelino più di mille parole. Che quelle immagini sembra siano state vissute realmente, che la suggestione invisibile sia sotto la pelle come tra le mani.  Sembra la realtà a volte si camuffi in immagini che si stenta riconoscere­­, che immagini irreali siano più reali di verità accettate, accertate, ricordate. Ché forse la memoria inganni subdolamente l’istante che diventa condiviso? Consequenzialità irriconosciute, e incanti.

“Ho guardato il cielo. Non una nuvola. Una collera blu.

Da dove ti viene questa religione dell’amore, Benjamin? Dove te lo sei beccato questo vaiolo rosa? Cuoricini che puzzano di melassa!

Quello che tu chiamo amore…nella migliore delle ipotesi sono semplici voglie! Nella peggiore, abitudini! In entrambi i casi, una messinscena! Dall’impostura della seduzione fino alle bugie della rottura passando per i rimpianti inespressi e i rimorsi inconfessabili, solo parti da caratterista! Nient’altro che fifa, intrallazzi, trucchi, eccolo qua il grande amore! Una sporca gabola per dimenticare chi siamo! E riapparecchiare il tavolo tutti i giorni! Quanto rompi Malaussene, con l’amore! Cambiati gli occhi! Apri la finestra! Comprati un televisore! Leggi il giornale! Impara la statistica! Entra in politica! Lavora! E poi ne riparleremo, del grande amore!

La ascolto. La ascolto. Il cielo è azzurro. Il motore si è imballato. Sono lontano da Parigi. In viaggio. Prigioniero dell’esterno. Senza sedia eiettabile.”

E’ che se stringo la mano, la pelle si spacca e ne escono stille di sangue. Grazie, bello cosi’, detesto il profilo evidente, invero, il mio, e’ defilato, minimizzante. Cosi’.

È che non ho capito nulla, solo un momento all’inizio poi nulla, immagini veloci come il mio corpo lungo l’asfalto, solo un momento di lucidità con gli occhi che vedono volare gli occhiali, uno sfioramento dell’asfalto nero, poi nulla, poi fermo, mi guardo intorno, luci di macchine e luci artificiali che illuminano la galleria, la visiera del casco rotta, lo scooter lontano, le mani sanguinati, dolore al petto forte, il ginocchio sinistro aperto, assoluta inconsistenza del corpo nonostante il dolore, come non mi appartenesse e m’infastidisse quel dolere diffuso, ho libri sparsi per terra, il casco della chiara, qualcuno raccoglie tutto, chiedono, voci lontane nel riverbero della galleria, un’aria gialla e soffocante, mi guardo e vedo tessuti lacerati, penso che tutte quelle macchine non mi hanno neppure sfiorato, dovrò dire grazie a qualcuno che mi ha tenuto di conto, non è ancora la mia ora, il dolore è  forte nel petto, quando ispiro sembra che mi scoppi tutto, solo la parte sinistra del petto, le mani sono inguardabili, sudo freddo, mi puliscono come avessero della carta vetrata, il catrame deve essere tolto per evitare infezioni, ho un ematoma sulla pancia , brucia forte, poi mi tengono ché svengo, tolgono sangue, cuore, pressione, 500 ml di fisiologica mi fa tornare in mente ER o quel pazzo di Dr. House, viaggio in corridoi su una barella, radiografie e eco, nulla di rotto ma si deve stare lì dentro, notte con un rumore  di sottofondo, una sorta di fischio, l’unico uomo in una stanza di donne, l’unico posto libero invero, se posto si può chiamare un letto appoggiato ad una parete di pannelli scorrevoli, gentili tutti, molto, la notte passa, nulla di particolare che giustifichi la mia presenza lì, esco, il petto mi fa male tanto, mia hanno rasato un ginocchio, la pelle è liscia, metto un bermuda per non far sfregare la ferita, ho perso gli occhiali da sole, ho avuto paura, non me ne rendo conto coscientemente ma mi trema il corpo e non riesco a fermarlo, solo gli occhi sono fermi a guardare. Dovrò ringraziare qualcuno, forse.

È che nel frattempo certi sensi di certe parole evaporano al sole caldo di un giorno gelido, evaporano? Svaniscono? Magicamente l’esistente diventa inesistente? Vorrei catafottermene, fare dei recipienti in cui poter differenziare le parole inutili, sciocche, invisibili, da quelle che devono restare, parole biodegradabili e parole non riciclabili, parole il cui senso può attraversarmi, lasciare che sia così senza che possano lasciare tracce evidenti da quelle che invece è necessario restino impresse con la loro forza e violenza e pesantezza e rabbia, non tutto deve passare, qualcosa deve restare a sedimentare le proprie tracce, qualcosa deve poter evaporare senza lasciare strascichi evidenti, senza che siano obbligate a ferire, gran lavoro certosino, a me per ora quasi impossibile ma vorrei poterlo fare, un operatore ecologico delle parole, dei sensi delle parole, riconoscerle e sapere dove metterle invece di subire effetti indiscriminati sulla pelle. Potrebbe essere un bel lavoro.

È che ci sono attimi definiti, precisi nella consistenza indefinita, momenti in cui accade che tutto diventa lividamente chiaro, che tutto rivela alla luce del non detto, del silenzio rispettoso, rivela che nulla è, nulla è mai stato, nulla di nulla è la consistenza di tutto.