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Trasparenza

Viaggi verticali.

(…) un tempo felice, un tempo infelice, un tempo in cui il paradiso  è così vicino, un tempo in cui il paradiso è così lontano, un tempo in cui la felicità si trova accendendo un sigaro, bevendo un caffè, un bicchier d’acqua, una birra conservata come vino da messa, un tempo colorato d’azzurro come alcuni sogni, un tempo in cui ci avviciniamo a ciò che ci avvicina al paradiso e all’idea che di esso ci resta e viene dai sogni. Non voglio morire mai. Non voglio. Non voglio che arrivi il mio turno, devo aver tempo, tempo per essere freddo come una scia nel cielo  di un’alba estiva, un uomo con un nome, un uomo senza eccezione di genere, persona, declinazione. Un uomo che non deve essere immune, un uomo che fa la doccia e la colazione, che prende il sole, l’aria e tutto il resto. Uno uomo che vuole dormire in un letto ampio dove la mattina l’avrebbe svegliato mostrando loro un cielo blu. Un cielo blu così intenso e inquietante, perturbante, né silenzioso né tranquillo – solo un cielo blu in continuo movimento. 
Autodeterminazione, manifestazione non repressa della vitalità,  libero arbitrio, realizzazione della razionalità, fino a visioni più spiritualistiche come realizzazione della vocazione individuale, non mi convince la visione anarchica della libertà perché non credo a fondo all’idea dell’autogestione, non ho una formazione filosofica per cui ho difficoltà a muovermi tra idee così dense. La libertà, facile la si vanti, difficile gestirla a fondo, ho idea che sia complicato sentirsi davvero liberi e vivere la libertà fino in fondo. Se per libertà posso intendere un’inestricabile coacervo di determinazioni che rispettano il sé e l’altro, credo che posso sentirmi una persona libera, arrivata a sentire questa libertà libera di poter essere estrinsecata senza il dubbio evidente che certi atteggiamenti sono tutto fuorchè liberi.

E’che la voce di david bowie esce piano, sopra questo silenzio momentaneo, ho pensato potesse accompagnare tutte quelle immagini che scorrono con ripetizione casuale nella cornice digitale, penso che non ho più foto su carta, penso anche le leggere un libro su un supporto digitale a me fa molta tristezza anche se ho un po’ di curiosità, mi da un senso di freddo gelido che credo farò a meno di provare, certo posso portarmi dietro tutti i libri che ho a casa ma non so, non riesco a pensarci, verrebbero meno tutti quei gesti rituali forse, necessari di certo, ora bjork, voce bellissima, perfetta per quelle immagini con la neve, posso pensare forse ad una coperta di linus digitale? No, non ci penso,  immagini scorrono verso venezia, le calli, il mare, i rumori che non si sentono, oggetti strani in un luogo così antico, un po’ stridente la vicinanza, però bella, les negresses vertes, l’homme de marais e jeff buckley, anche radiohead, mi rendo conto che è tutto disomogeneo, come non ci fosse alcun filo invisibile che lega tutto, né visibile, che ne dia un senso minimamente compiuto, semmai sia necessario un senso per ogni cosa, quella copertina che sembra un deserto di sabbia ed invece potrebbe essere una landa di ghiaccio infinita, algida distesa azzurra polverosa, belli questi giorni sempre luminosi, azzurri, luminosi, freddi ma belli, l’aria gelida che s’insinua sotto il casco, gesti continui, ripetuti, inconsci, vaganti, annuso le dita dell’odore intenso, aspro, grace mi emoziona, lento, lento,  la voce gutturale acuta, poi detona forte, a volte leggo cose che non afferro, non mi riesce di capire nulla di quelle parole, non mi consentono di entrare, forse non ne sono capace, non riesco a trovare la chiave che mi apre la porta di casa, così guardo da fuori senza riuscire a distinguere le forme all’interno, poi le abbandono quelle parole, la mia incapacità non è un cruccio, affatto lo è.

 

“Una stupida coerenza è l’ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi. Con la coerenza una grande anima non ha, semplicemente, nulla a che fare. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra sul muro. Dite quello che pensate ora con parole dure, e dite domani quello che il domani penserà con parole altrettanto dure, per quanto ciò possa essere in contraddizione con qualunque cosa abbiate detto oggi.”

E’ che è magnificamente liberatorio la consapevolezza trasparente, magmatica, estirpata dal fondo oscuro, il senso che quel che si ha è quel che si vuole o forse che quel che si ha non è certo quel che non si vuole, levigata consapevolezza inopinata. Incoerente.

“E poi, non preoccuparti per me: la possibile indignazione di qualcuno non basta a tirar fuori un colpevole, neppure il dolore possibile, nessuno fa qualcosa convinto che sia fatto male, è soltanto che in molti momenti non si possono tenere in considerazione gli altri, rimarremmo paralizzati, a volte non si può pensare ad altro che a noi stessi e al momento, non a ciò che viene dopo. (…) molte volte si parla senza sapere, soltanto perché ci tocca farlo, spinti dai silenzi come nei dialoghi a teatro, con la differenza che noi improvvisiamo sempre.”

E’ che a volte, spesso invero, mi piace sentire il gelo sulle mani, sentirle passare  dal calore costante a quel senso di gelo quasi immobile, come una sorta di velo caldo, liquido protettivo intangibile. Ieri soffiava un vento conosciuto. Un vento che avevo già incontrato. Un vento senza rumore, percepibile solo dal movimento delle fronde degli alberi, fronde smosse lievemente. Quel senso d’impotenza lascia il respiro spezzato, lascia i pensieri immobili in un limbo indefinito, quasi indicibili i movimenti. Quali le parole?  Dovranno essere  trasparenti? Dovranno essere solo parole che siano tali, definite, precise, ciniche anche, incontrovertibili, ché poi l’indefinitezza nulla ha a che fare con le parole in quanto tali, certo con quei legami invisibili che quelle parole legano in un senso ovvero in un altro, connessioni di vicinanze, di virgole e congiunzioni, di negazioni fino ad un’apostasia del senso, scarnificato fino alla fine. Difficile che accetti mi si voglia bene, ne sento sempre la mancanza ma non lascio avvicinare, non ammetto a volte, non consciamente, mai consciamente, un visione altra da quella che ho di me, come a definire irrealistica la confutazione di un sé non sradicabile. Quale il campo della libertà? Il riconoscimento certo dell’accoglienza dei pensieri, contestabili, definiti nei refusi, mai rigettati o accantonati.

Ci sono momenti della vita che non sono fatti per combaciare con momenti di altri. Proprio così, magari ci si ostina a cercare coinvolgimenti che a nulla portano, intenzioni svanite, il dolore dell’accoglienza resa vana. Ci sono parti della vita che viaggiano solitarie, orgogliosamente solitarie, definite da una consapevolezza chiara, assoluta, che non è mancanza di densità, è solo una sorta di trasparenza che rende evidente sé stessi, i contorni, la sostanza.

Non ho mai avuto una devozione evidente al dire tutto di sé, alla vivisezione dei sentimenti mettendoli così a nudo, alla immediata risposta, alla limpidezza assoluta, ho preferenza d’imperscrutabilità, non per posa, per natura, chiunque sviluppa un modus proprio, sequela di parole e gesti e insinuazioni e provocazioni e reazioni. La scansione delle intenzioni implica rischi non sempre facilmente accettabili, le intuizioni necessitano però di sguardi ché anche una semplice parola, un tono chiarisce più di esplicite richieste, di evidenti affermazioni. L’implicito versus l’esplicito. La trasparenza versus un magma denso. L’esserci ovvero il dire di esserci?