archivio

Archivio mensile:marzo 2013

È che a volte porte si chiudono, capita proprio così, come la scelta di un immagine, di un quadro da guardare, all’inizio sembra un caso, mera casualità estetica, i colori, una sorta di somiglianza fisica, poi diventa evidente che nulla è casuale o meglio, raramente il caso è determinante, esiste sempre un motivo sottostante, un ribollire sotto la superficie, quell’uomo nudo volge lo sguardo, tutto sé stesso invero, verso il suo dentro buio,volgendo le spalle al tutto che è fuori, fuori sé, l’esterno evidente e determinante il contesto, così il mio sghembo equilibrio mi fa girare spesso. Le porte mai chiuse a chiave, socchiuse , linea buia che è altrove (s)conosciuto, porte socchiuse che lasciano fenditure di luce a bagnare il freddo, tepore tiepido a volta per sopravvivere, rimestevole. Porte socchiuse come ferite in cui mettere le mani e forzare e squarciare tutto, con violenza compiaciuta, ovvero lembi da accudire con attenzione, poggiare le mani e scostare piano, lasciare il tempo per far abituare gli occhi alla luce invadente. La mia una vita come tante, nulla di diverso che non sia già accaduto, chi resiste, chi no, poco male, cosa rende una vita diversa da un’altra? Non importa saperlo. Non so se ho forza, il mio circuito di default lavora a pieno ritmo, molto più di quanto lavori l’altro circuito, quello che soprassiede la vita vigile. Così è.

È che stamattina è il primo giorno in cui sento davvero quel che è ora. Da qualche tempo leggere è diventata una sorta di prova costante, “dopo qualche pagina mi resi conto che non ci capivo nulla. Leggevo ma le parole passavano come scarafaggi incomprensibili, indaffarati in un mondo enigmatico.”; una prova ogni volta da superare, cercare di passare oltre quel senso di incomprensibilità delle parole, del senso della frase, ogni volta così. Le parole sembrano uscire dalla pagina e diventare pensieri altri, catene insanabili di pesi che comprimono lo stomaco, acquistano “a momenti una dimensione mostruosa, quasi insopportabile”, vorrei scappare volgendo lo sguardo altrove, cercando sollievo senza trovarlo, in questa giornata grigia, piovosa, sono uscito con il cane senza rendermi conto piovesse, ho sentito gocce solo dopo un po’ che camminavo. “Occhi che sanno. Occhi che credono a tutte le possibilità ma che al contempo sanno che nulla ha rimedio.” Due declinazioni di uno stato d’animo. Anch’io nella massa di chi ha perso.

È che le cose, semplicemente, finiscono, mai semplicemente. Peso greve. Peso greve? Non lo so, ancora non so cosa mi tocca più, se una fine o un ipotetico inizio. La certezza è solo una però, brutta, mi pesa sul petto anche se quasi annunciata. Così è.

È che mi convinco sempre più che un deterrente allo stress quotidiano, forse, meglio ancora, un elegia fattiva della lentezza è perdersi nel tempo di cucinare, abbandonarsi ad ogni piccolo gesto, ogni minuzia da farsi con lentezza, già il pensiero di cosa, poi la scelta di ogni ingrediente necessario, la preparazione, scelta di cosa usare e come, tutto molto lento, amorevole, carezzevole; come preparare un ragout, tagliare il sedano e le carote e le cipolla e lasciarli soffriggere per un bel tempo, poi la carne in quel soffritto, ancora per almeno una decina di minuti se non più, lasciarla insaporire, aggiungere un po’ di rosso e poi in ultimo il passato fatto in casa, profumi che avvolgono ogni parte della casa, magari ci si può dedicare anche a fare della pasta, pappardelle oggi il desiderio, anche un dolce semplice, tarte tatin non così complicata, bellissimo il profumo di mela caramellata; ché poi ieri sera avevo bevuto alcuni vini sorprendenti, il trebbiamo trebbien 2011 di valter mattoni, non mi è piaciuta la bottiglia dalla forma di una champagnotta ma con una base più ampia, vino di bevuta gradevole un po’ scontroso all’inizio ma di certo affatto banale, più interessanti i due rossi,, uno il Montepulciano di mattoni, pieno, denso, un bellissimo effluvio vegetale, un corpo consistente e avvolgente, come il tannino di morbidezza accogliente, l’altro il sangiovese 2010 dell’azienda casale di certaldo, un flash immediato, un impatto acerbo ma anche di banana, un contrasto molto interessante che in bocca rende una gradevolezza stupefacente, una facilità, nell’accezione migliore, di lasciarsi bere, freschezza e acidità, gradazione bassa, ottimo sangiovese. Chissà perché poi ho comprato il 2009 che mi è piaciuto meno, mi sa che stasera vado a prendere quel 2010, da arek del http://www.stellaristorantevineria.it/ a perugia, bel locale davvero.